venerdì 9 aprile 2010

La storia del macco di fave





La storia che mi accingo a raccontarvi non è una storia d’amore, ma la storia di un gesto d’amore.

Avevo solo 23 anni, un marito, una figlia, un padre, una madre, due suoceri e un cognato, un’agenzia di viaggi troppo piccola e una casa troppo grande.
Sembravo un personaggio partorito dalla mente di Italo Svevo: tutti pretendevano qualcosa da me, ma nessuno si accorgeva di cosa io avessi bisogno e, soprattutto, non riuscivo a soddisfare nessuno, nonostante i miei numerosi sforzi.
Ventiquattrore erano diventate troppo poche e, per far felici tutti, riuscivo a dormire un paio, forse tre, ore a notte, ma per il quieto vivere si fa questo ed altro.

Un giorno, nell’agenzia di viaggi, entrò un mio amico accompagnato da un ragazzo: qualcosa mi spingeva verso di lui… Io dovevo sapere chi era. In qualche modo, riuscii a vendergli quello di cui aveva bisogno e conservai il suo numero di telefono. Non c’era stato molto tempo per conoscerci: l’indomani, lui partì per andare a lavorare come cuoco in un albergo di Santorini.
Dopo tre mesi, è tornato dalla Grecia.

Erano passati 26 giorni dall’ultima volta che avevo mangiato qualcosa e non se ne era accorto nessuno.
Ventisei giorni di digiuno assoluto, mai un crampo, mai un cedimento e nessuno vedeva che ero solo il fantasma di me stessa, con quei 39 kg appena.
Non so perché l’ho fatto, ma ho scelto lui per chiedergli aiuto.
Una sola telefonata, ad uno sconosciuto, dopo mesi di silenzio, solo per dirgli: “non mangio da quasi un mese”. La risposta all’altro capo del telefono è stata: “sei in agenzia? Sto arrivando”.

Mezz’ora dopo lui era lì, accanto a me. Mi ha presa per mano e mi ha portata dal nostro amico in comune: anche il fratello di questo ragazzo era appena tornato dalla Grecia e aveva portato con sé delle fave “dolcissime – continuava Marco – sto preparando un macco che sognerai anche di notte”.
Tutte quelle persone… attorno a me… sconosciuti che si prodigavano per farmi venire voglia di portare in bocca qualcosa: finalmente qualcuno si era accorto della mia esistenza…
Fabio, il mio angelo, ha immerso un cucchiaio nella minestra e lo ha portato su, vicino alla bocca, soffiando delicatamente, come farebbe la mamma per il proprio bambino. Poi si è rivolto verso di me e ha avvicinato il cucchiaio alla mia di bocca: l’ho aperta riconoscente, come se dovessi fare la comunione. Non mi importava più niente del resto, non mi importava più niente di chi attorno a me mi stava ignorando: finalmente qualcuno si era accorto della mia esistenza!
Da allora, il macco di fave è rimasto, per me, il simbolo del ritorno in vita, della gioia della convivialità, del bisogno di ricevere e dare affetto.

Macco di fave e finocchietto con rana pescatrice
(piatto unico)

Ingredienti per 4 persone
350 g di fave secche
1 mazzo di finocchietto selvatico
3 spicchi di aglio
1 peperoncino
10 cucchiai di olio extravergine d’oliva (possibilmente nocellara del Belice)
1 coda di rana pescatrice
50 g di farina 00
½ bicchiere di vino bianco secco (meglio se inzolia)
1 cucchiaio di olio per saltare il pesce
16 pomodorini confit

Per il macco di fave
12 ore prima di iniziare, mettere a bagno le fave in acqua e, se con buccia, eliminarla prima della cottura.
In un’ampia pentola, versare 3 cucchiai di olio, l’aglio in camicia e il peperoncino sminuzzato.
Far insaporire a fiamma media (l’aglio non deve bruciare) ed eliminare l’aglio.
Aggiungere il finocchietto, sgranato e tritato.
Aggiungere le fave e rosolare per qualche minuto.
Coprire con acqua e cuocere per almeno 30-40 minuti.
(Se necessario, versare altra acqua nel corso della cottura, che dovrà essere a fiamma bassa-media).
Una volta che le fave saranno cotte, dovrebbero risultare già frantumate, ma per ottenere una crema densa e vellutata, aggiungere ancora un po’ di olio evo e frullare col minipimer (per non esagerare con l’olio, ci si può aiutare anche con un po’ di acqua calda).
Regolare di sale, se necessario.

Per la rana pescatrice
Eliminare la pelle e l’osso centrale.
Sfilettare la rana e ricavarne tanti cubotti.
Passare il pesce nella farina ed eliminare l’eccesso aiutandosi con un colino a maglia metallica.
In una padella, versare un paio di cucchiai di olio e far rosolare il pesce fino a doratura.
Spruzzare di vino bianco e lasiare evaporare l’alcool.
Salare e pepare se necessario e a proprio gusto.
Tenere da parte in caldo fino al momento di servire.

Per i pomodorini confit (qualora non li si avesse già a disposizione):
Pulire i pomodorini e praticare un taglio nella parte bassa della pelle (non profondo).
Portare a bollore un pentolino con l’acqua e tuffarvi dentro i pomodorini.
Dopo 1-2 minuti tirarli via.
Lasciar raffreddare.
Eliminare la pelle e tagliare a metà per svuotarli dei semi e dell’acqua di coltura.
Porre le falde di pomodorino su una teglia da forno, spolverizzarli con sale, zucchero (un cucchiaino), pepe e timo.
Infornare a 120-130° per circa un’oretta (se non resistete e decidete di accellerare i tempi portando la temperatura a 140°-150°, considerate che dovete tenere gli occhi aperti perché il rischio di bruciarli è alto).

Definizione del piatto
In un piatto fondo, porre la crema di fave calda.
Al centro predisporre i cubotti di pesce.
Attorno i petali di pomodorino confit.
Definire con un filo d’olio extravergine d’oliva (ho usato il Lorenzo n.1)

18 commenti:

  1. Quante cose spesso non si conoscono delle persone, grazie per averlo condiviso.

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  2. Cinzia, mi sa che ti riferisci al periodo della foto in soggiorno super-disordinato?! Con tua figlia piccina?! Quella foto è fantastica.
    Io che non amo le fave, con cosa posso sotituirle?
    Bacio
    Fabrizio

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  3. Ciao Cinzia,
    fantastica magica pietanza, rievoca memorie anche per il sud Salento! e la storia raccontata di Camilleri, di un italiano a Brooklin che sente fischiettare una musica sul macco, e si ritrova tra compaesani...
    Un abbraccio!
    Palmiro

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  4. @grazie anonimo. Era da un po' che volevo scriverlo. Tante persone si sentono sole e lo sono, lo sono maledettamente! Basterebbe davvero poco per tirarle fuori dalla sensazione di angoscia e di incompletezza che li attanaglia. Questo mio scritto deve essere da monito ai genitori assenti, ai mariti superficiali, a chi pretende senza dare nulla, a chi giudica senza voler essere giudicato.
    E speriamo che qualcuno mi ascolti e decida di cambiare rotta. Andavo a mangiare ogni giorno dalla mia ex suocera (che adoro tutt'ora per carità!), ma lei non faceva caso al piatto rimasto intatto. Forse pensava che non mi piaceva quello che mi aveva preparato, certo non che io non volessi mangiare per lasciarmi morire. Non andavo bene per nulla: non ero una brava mamma, perché lasciavo mia figlia alle 7.30 e la riprendevo alle 22.00. Non ero una brava moglie, perché non avevo tempo per occuparmi della casa e di mio marito. Non ero una brava figlia, perché mia madre voleva che fossi perfetta per il concorso a cui stavo partecipando e mio padre che fossi una diligente lavoratrice che pensasse solo all'agenzia. Non andavo bene e basta, perché ognuno voleva qualcosa, ma tutti volevano troppo per quello che io ero in grado di dare.

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  5. @Fabrizio: pochi mesi dopo sì. Già in quel periodo si leggeva tutta la mia insoddisfazione. Quella foto è stata scattata in uno dei rari momenti in cui mi fermavo, mi guardavo intorno e c'era il caos: non solo attorno a me, soprattutto dentro di me.
    Il macco di fave è... di fave! Puoi farlo con i piselli, ma eviterei il finocchietto, magari metterei della menta.

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  6. @Zavorka, è sempre un piacere vederti qui, sul mio blog. La ricetta è classica, senza forzature, solo arricchita dalla presenza del pesce e dei pomodorini per dargli un tocco di classe.

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  7. è una storia molto triste ma con un finale bellissimo.
    Ho le fave secche in dispensa e proverò la tua ricetta bellissima in tuo onore. Per me il macco è un piatto unico al mondo anche se per motivi diversi dai tuoi.
    La tua storia mi ha fatto riflettere su molte cose, ti ringrazio. E queste riflessioni sono merito di una sconosciuta. Buffe queste cose, mi sorprendono sempre. Magia.
    A presto,
    Alessandra

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  8. alessandra cara, per fortuna non è una storia triste, visto che siamo ancora qui a parlarne e scherzarci sopra.
    Oltretutto quella piccola bambina di allora, adesso è una donnina di 15 anni (e va per i 16) ed io un po' più decrepita e decisamente più in carne di allora!
    Mi spiace soltanto che Fabio e Marco non siano più con me, ma la vita ci ha separati: erano le persone perfette per quei momenti; oggi forse avrebbero poco senso (ma voglio loro bene oggi come allora).
    Quando farai la ricetta, pretendo di vederla e sentire i tuoi commenti! ;)
    a catania, invece del finocchietto, usano il prezzemolo: in questo caso, devi andare cauta con le quantità e ovviamente ti verrà più giallognolo.

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  9. Bellissimo questo racconto,grazie per averlo condiviso con noi; la tua ricetta è davvero invitante e la voglio provare.
    Ciao Daniela.

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  10. e' proprio vero che spesso sono le persone "sconosciute" a darci una smossa dalla quotidianita'!
    Ottima ricetta!

    ciao

    maia

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  11. Cinzia, mi hai emozionato. E' un racconto bellissimo specialmente perché vero e perchè ci permette di conoscerti meglio. Un abbraccio.

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  12. grazie per questo racconto...molto toccante...hai intenerito il mio cuore ti riempirei di bacetti al collo....sono in difficoltà a dirlo ma la rana pescatrice in quale stagno del mondo abita? le coscie se le faccio in pastella vengono bene?
    i petali di pomodoro dove li trovo....non sapevo che esistessero... li vendono a mazzi? sono belli da regalare?
    ciao picola tarantola
    sei bellissima...non potevamo incontrarci da piccoli!!!

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  13. Pelle d'oca... Lo racconti così bene, e ringrazio anche io quel macco che ti ha portato nuovamente alla vita e ha dato un finale felice alla storia. Per ognuno di noi, ogni pietanza può avere un significato più o meno profondo. Condividerle ci collega in maniere misteriose.
    Un bacio,

    Marcela

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  14. ho rabbrividito ..
    grazie per questo racconto. grazie con tutto il cuore

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  15. Quando racconto a voce questa parte della mia vita, sono talmente trasportata che mi si dice che dovrei scrivere tutto, dovrei fissare su scritto tutto quanto è successo.
    D'altronde, ognuno di noi ha vissuto un piccolo o grande romanzo oppure tanti episodi di un grande capitolo, che poi è la nostra vita.

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  16. Certo, è così. Tutto sta nel saperlo raccontare, nel saper trasmettere emozioni. Ma, ancor di più, avere il coraggio di raccontarSi. Anche quando non sono cose poi così belle. Perché a volte serve. a volte aiuta.

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